06 MAGGIO 2664 ASTROTEMPO UNIVERSALE UNIFICATO
In qualsiasi metropoli, città o villaggio della
madre Terra e del grande Marte dove voi potete venire a trovarvi incontrerete
sempre almeno un monumento, una targa, una strada dedicata al ricordo di Agata
Rita Aceri.
Agata Rita Aceri; laureata in astronomia e
biologia, scienziata e ricercatrice. Definita italiana, perché nata sulla terra
quando esistevano ancora le nazioni originali, figlia di un musicista e di una
insegnante di matematica è universalmente riconosciuta come la madre di Marte
così come attualmente lo conosciamo.
Le tante
statue a lei dedicate la rappresentano come era; maglietta, pantaloni comodi e
scarpe basse. Un viso ovale incorniciato in una folta pettinatura a caschetto.
Semplice e geniale. Dai primi anni 2000 in poi il
potenziale spaziale terrestre ambiva ad espandere la presenza umana nello
spazio, in particolare su Marte. Le difficoltà erano enormi prima fra tutte la
spaventose lentezza dei veicoli spaziali dell’epoca.
Nonostante tutto l’esplorazione di Marte proseguì
con sistemi automatici che portarono alla raccolta di una mole enorme di
informazioni.
Molti pensarono che l’ambiente di Marte avesse la
possibilità di essere trasformato in qualche cosa di simile a quello della
Terra. In definitiva erano i primi concetti della storica operazione di
“terraformazione”.
Agata Rita Aceri intorno al 2015, allora docente
universitaria, coordinò un gruppo di grandi scienziati internazionali che
volontariamente analizzarono la immense masse di dati che riguardavano Marte e
nel 2018 presentò pubblicamente le conclusioni.
Marte poteva diventare la nuova frontiera
dell’umanità ma doveva essere reso abitabile. Il progetto scaturito dalle
ricerche prevedeva la “terraformazione” di Marte prima dell’arrivo degli esseri
umani. Questi ultimi avvrebbero trovato le condizioni per vivere e non avrebbero
dovuto essere organizzati ed attrezzati per affrontare immediatamente un
viaggio di ritorno lungo e pericoloso verso la Terra.
Fu previso l’impiego di satelliti, sonde e sistemi
automatici e robotizzati che avrebbero dovuto operare sul suolo marziano
autonomamente e creare atmosfera, acque, vegetazione.
Successivamente sarebbero stati inviati verso
l’ormai “ex pianeta rosso” attrezzature e materiali in modo da permettere ai
primi terrestri che vi avrebbero messo piede di vivere ed organizzarsi in un
nuovo mondo. Si sperava e prevedeva anche una evoluzione delle tecnologie
spaziali durante i tempi, non definiti, dell’intero programma rivolto alla
conquista di Marte; questo ultimo fattore avrebbe permesso l’accelerazione ed
il miglioramento qualitativo di tutte le operazioni.
La ricerca fu diffusa negli ambienti scientifici ed
universitari e nel 2019 recepita da importanti agenzie scientifiche legate alle
Nazioni Unite. Oltre al relativamente ristretto ambiente scientifico non suscitò
particolare interesse.
Almeno fino al 2020. Le grandi industrie legate
alla produzione aerospaziale risentivano da almeno venti anni di due fattori
negativi. Le ricorrenti crisi finanziare internazionali ed i limiti sempre più
stretti che i governi imponevano alle spese destinate a tutto quello che
riguardava lo spazio.
I manager di queste imprese si resero conto che
mettere in pratica la ricerca coordinata da Agata Rita Aceri avrebbe avuto come
conseguenza un enorme balzo in avanti dei loro bilanci spingendoli verso quella
positività che da troppi anni raggiungevano a stento.
La possibilità di modificare l’intera operazione in
relazione all’evoluzione tecnologica poteva poi attrarre investimenti e
generare prodotti interessanti.
Durante l’Esposizione Aerospaziale di Pechino,
nell’anno 2021, in un incontro riservato alla dirigenze degli interi comparti
industriali aerospaziali ed elettronici mondiali fu deciso di fare tutto il
possibile per iniziare a realizzare quella che definirono la “Operazione Marte”.
Furono fatte pressioni sui singoli governi e sulle
Nazioni Unite. Tutti i mezzi di informazione dell’epoca furono impiegati per
orientare favorevolmente l’opinione pubblica.
Seguì la formazione del Consorzio Aerospaziale
Mondiale, presieduto dall’industriale svizzero Bruno Klagenman.
Il Consorzio Aerospaziale Mondiale costitui una
fondazione, dotata di una solida copertura finanziaria, e sede a Lisbona
destinata ad assumere il ruolo di direzione generale del progetto. La
presidenza fu affidata ad Agata Rita Aceri mentre tutti i suoi collaboratori
furono inseriti in ruoli di rilievo.
Bruno Klagenmann, alto e brizzolato, fu un abile
diplomatico e coinvolse le Nazioni Unite nella gestione della parte politica ed
amministrativa. Infatti l’O.N.U. in assemblea plenaria, ed alla unanimità,
stabilì che le nazioni che partecipavano allo slancio verso Marte avrebbero
avuto la priorità nell’invio di coloni.
In aggiunta fu ratificato che i territori marziani
sarebbero stati assegnati in proporzione alla partecipazione e che di fatto
avrebbero avuto lo stato di regioni o provincie lontane delle nazioni che
avrebbero direttamente aderito al progetto con la possibilità di sfruttare le
risorse naturali.
Contemporaneamente il Consorzio Aerospaziale
Mondiale, e le relative società sussidiarie, furono presentate in borsa ed
iniziarono ad emettere azioni assicurando finalmente il flusso fianziario tanto
desiderato dalle società aeronautiche ed elettroniche di tutto il pianeta.
Agata Rita Aceri, e tutto il suo gruppo, poterono sviluppare il progetto per la parte
scientifica e previsionale. Ma rimasero incapsulati in una struttura dove la
parte tecnologica e pratica era messa in atto da persone capaci ma che
rispondevano direttamente ai consigli di amministrazione delle aziende. Il
primo atto fu la progettazione di un missile in grado di permettere l’invio di
carichi di relativamente grande massa verso Marte.
La tecnologia dell’epoca era ancora ancorata ai
motori a combustione ed, in attesa di radicalmente nuovi sistemi di
propulsione, dai computer CAD del Consorzio Aerospaziale Mondiale vide la luce
un vettore a quattro stadi. Con una base larga 18 metri ed una altezza
complessiva pari a 135 metri era in assoluto il missile più grande ideato da
quando l’umanità si era affacciata oltre la propria atmosfera.
Oltre che dai motori di ogni singolo stadio era
spinto da 3 corone di 6 missili ausiliari per ognuno dei primi 3 stadi. Il
quarto stadio era quello destinato ad essere proiettato verso Marte. Questa
nuova generazione di lanciatori fu ufficialmente battezzata Vettore Marte ma gli addetti ai lavori li
indicavano con i nomignoli di “Marte Express” oppure “Treno per Marte”.
Il gruppo dirigente del Consorzio Aerospaziale Mondiale
deliberò la pianificazione per la costruzione di siti di lancio idonei e per
accelerare lo sviluppo del programma, che aveva tempi indefiniti e comunque
lunghi, verificò la disponibilita delle basi della nazioni terrestri che per
prime si erano dedicate allo spazio. Stati Uniti e Russia.
Fu subito evidente che le loro installazioni
missilistiche avrebbere dovuto essere ampliate e modificate per ospitare i
Vettori Marte ma, mentre la proposta era all’esame dei rispettivi governi, vi
furono conseguenze inquietanti e gravi.
A Washington, in una luminosa e gelida giornata
invernale, decine di persone in uniforme raggiunsero la Casa Bianca.
Innalzarono degli striscioni ed esposero dei cartelli.
Erano generali e colonnelli degli stati maggiori
convinti fino alla esasperazione che l’adesione del governo U.S.A. alla
“Operazione Marte” fosse una perdita di sovranità nazionale nel delicato
settore spaziale che per i militari rappresentava la punta del sistema
difensivo ed offensivo nazionale.
In realtà i vertici delle forze armate temevano di
perdere il controllo della agenzie aerospaziali con la conseguente riduzione
del proprio prestigio e del peso politico che potevano esercitare.
Inscenarono la manifestazione di protesta, al
limite dell’ammutinamento. In poche ore si unirono a loro veterani e semplici
cittadini. La folla diventava sempre più numerosa e Carmine Colpitts, presidente
degli Stati Uniti, fu consigliato dal proprio staff di recarsi tra i
manifestanti per tentare un dialogo, rassicurare e convincerli a desistere.
Contemporaneamente, forse perché non informati
della iniziativa presidenziale, i responsabili dei servizi di sicurezza
ordinarono alle unità antisommossa di disperdere la folla che ormai era
composta da alcune migliaia di persone.
Furono 10 ore di violenta guerriglia urbana. Auto
in fiamme, autobus assaltati e messi di traverso lungo le strade, lacrimogeni e
scontri fisici degni di bande di periferia.
A fatica gli agenti del Servizio Segreto incaricati
della protezione del presidente riuscirono ad estrarlo dai tumulti. Le immagini
del corpulento Colpitts sanguinante al volto colpito da un oggetto contundente
con gli abiti sporchi e laceri diventarono rapidamente di dominio pubblico in
tutto il pianeta provocando una caduta dei titoli in tutte le borse mondiali.
Nei giorni seguenti, per placare i militari ed
evitare altre ripercussioni finanziarie, il parlamento Statunitense decise di
non aderire direttamente alla “Operazione Marte” lasciando comunque le imprese
private libere di partecipare al progetto come ritenevano opportuno.
Dopo la decisione parlamentare in tutte le basi
delle forze armate U.S.A. vi furono manifestazioni di giubilo e festeggiamenti.
Poco tempo dopo gli avvenimenti di Washington anche
nel cuore della Russia la situazione prese una piega imprevista ed ancora più
tragica.
Circa al centro di una enorme area addestrativa nei
pressi di Mosca riservata alle forze corazzate era stato costruito un grande
palco in legno grezzo.
Sulla sommità si trovavano le più alte autorità
civili e militari della Federazione Russa compreso il capo dello stato, la presidente
della Federazione stessa Lucia Zelkranskj.
Nei primi tepori della primavera orientale
assistevano alla dimostrazione operativa delle capacità della versione da
esportazione del carro armato T 102/R; uno dei prodotti più innovativi uscito
dalle industrie belliche russe e motivo di orgoglio nazionale.
Un giovane tenente del reggimento di cavalleria
corazzata delle guardie, addetto al servizio di sicurezza, si avvicinò alla
Presidente. La guardò negli occhi per un istante e poi, con movimenti
imprevedibili e fulminei, estrasse la pistola d’ordinanza. Si inserì l’arma in
bocca ed eplose un colpo.
Il suo corpo cadde sul tavolato del palco mentre
dalla testa schizzava sangue ovunque.
Lucia Zelkranskj atterrita e con l’abito blu fresco
di stiratura, il volto bianco e la elaborata acconciatura bionda punteggiata da
infiniti segni rossi venne subito trascinata in una automobile dalla sua scorta
personale e trasportata al sicuro a Mosca tra le grandi mura del Cremlino.
L’ufficiale suicida era il tenente Leonida
Tciaimov. Un giovane soldato di belle speranze, dalla carriera immacolata, ed
estremamante affidabile. Proveniva da una famiglia di tradizione militare ed il
padre, il Generale Gregory Tciamov, era l’attuale comandante del gruppo di
armate occidentali.
Si pensò ad un atto dovuto ad una improvvisa follia.
Ma nei giorni successivi venne reso noto il contenuto di una ultima
dichiarazione che il giovane aveva lasciato in rete, all’interno della sua
pagina personale.
Anticipava il gesto estremo che lo aveva compiuto
ed affermava che si sacrificava per la patria. Riteneva che fosse l’unico modo
per richiamare l’attenzione del popolo Russo sulla svendita della sovranità
nazionale e di tutte le forze armate provocata dalla possibile adesione della
Federazione Russa alla “Operazione Marte”.
Scoppiarono tumulti in tutte le principali della
città della Federazione ed il Generale Tciaimov seguito compatto da tutto il
gruppo di armate al suo comando si ribellò occupando San Pietroburgo ed
ingaggiando violenti combatimenti con le unità del Ministero degli Interni che
tentavano di riconsegnare al Governo il controllo della situazione.
Tutti i rappresentanti dei vertici governativi correvano
seri rischi per la propria incolumità e dovettero fuggire da Mosca. Trovarono
riparo in Polonia mentre le fazioni, dopo gli scontri, stabilirono una fragile
tregua.
Per riportare la situazione alla normalità, ed
evitare l’espandersi di una crisi che poteva avere conseguenze globali, fu
necessaria una complessa mediazione intrapresa dai più autorevoli
rappresentanti della chiesa Ortodossa. Una condizione cardine dell’accordo
prevedeza che la Federazione Russa non averbbe mai partecipato direttamente
alla “Operazone Marte”.
Fu aggiunta successivamente una clausola, mututa da
quanto era accaduto negli Stati Uniti, che lasciava le singole imprese
esclusivamente private libere di aderire.
Solo dopo queste assicurazioni scritte i militari
si ritirarono permettendo al governo di tornare a Mosca e la situazione si
normalizzò. In tutte le nazioni dove era presente la religione cristiano
Ortodossa furone celebrate grandi messe di ringraziamento.
Parallelamente al mancato sostegno ufficiale e
concreto alla “Operazione Marte” di Russia ed U.S.A. le rimanenti nazioni
terrestri con capacità industriale affermata o in via di sviluppo erano
estremamnte interessate e disponibili.
I cinesi presentarono una soluzione alternativa per
la costruzione di una grande base di lancio nel deserto dei Gobi mentre i paesi
africani che comprendevano nel loro territorio il deserto del Sahara proposero
le aree desertiche come sede di una seconda struttura missilistica.
Il Consorzio Aerospaziale Mondiale accettò queste
indicazioni e nel corso dei decenni successivi due dei luoghi più inospitali
del pianeta videro completamente cambiato il loro volto. Intorno alle strutture
dedicate ai vettori Marte furono costruiti
complessi industriali di ogni genere, centrali elettriche e dal nulla spuntarono
città che dovettero essere dotate di tutti i servizi generando altri lavori ed
affari.
Per i popoli terrestri fu nel bene e nel male la
nuova frontiera del secondo millenio.
Per milioni di persone senza un lavoro, o che loro
malgrado dovevano vivere di attività precarie ed incerte, i vettori Marte
diventarono la chiave per la felicità.
Gli esperti del Consorzio Aerospaziale Mondiale
avevano però previsto che con la “Operazione Marte” a pieno regime per
mantenere costante ed accettabile la frequenza dei lanci sarebbero state
indispensabili 3 basi missilistiche.
La soluzione fu presentata da un gruppo di aziende
europee e sud americame specializzate nella costruzione di impianti per
l’estrazione di petrolio e gas naturale.
Ipotizzarono la costruzione di una enorme rete di
piattafome marittime off-shore dislocate nell’Atlantico del sud, relativamente
vicine alle coste del continente sud americano che avrebbero avuto la funzione
di base lancio.
Il Consorzio Aerospaziale Mondiale approvò. Iniziò
così la installazione di una struttura artificiale che si espanse fino a
raggiungere una estensione di centinaia di chilometri quadrati circondata dall’
oceano Atlantico.
Fu un opera colossale. Ultimata la chiamarono
il “continente di ferro”.
Attualmente, dopo secoli, è ancora solidamente al
suo posto e coloro che transitano sulla madre Terra cercano sempre di trovare
il tempo per visitare ammirati il “continente di ferro” che ora ospita uno dei
principali musei dedicati alla storia della Madre Terra e del Grande Marte.
Con questa mia dissertazione sono certo di avere
qualche nemico in più. Ma è la realtà storica incontrovertibile e documentata.
Uffucialmente l’umanità raggiunse il Grande Marte
per l’anelito verso le stelle, per la volontà di portare la vita, per l’istinto
della ricera e dell’esplorazione.
Per molti, moltissimi le motivazione furono queste.
Ma alla base della “Operazione Marte” vi era la
necessità di fare affari. Ed alla svelta viste le condizioni di instabilità
dell’economia mondiale e le loro tragiche conseguenze.
Si intraprese la realizzazione di un programma che
non aveva tempi definiti e con contenuti politici amministrativi generici e
vaghi.
E come se non bastasse non si aveva la minima idea
di come si sarebbero evolute le tecnologie da impiegare e quindi molte decisioni
furono prese poco prima della loro attuazione pratica con ampio margine di
approssimazione.
E queste condizioni di partenza influenzarono la storia
del Grande Marte per centinaia di anni.